Si è svolta il 3 ottobre scorso l’audizione dell’ANCE presso la Commissione Bilancio della Camera sul DL n. 124/2023, recante disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione, per il rilancio dell’economia nelle aree del Mezzogiorno del Paese, nonché in materia di immigrazione (DDL 1416/C).
La Presidente, Federica Brancaccio ha ricordato, in premessa, che il provvedimento interviene sulla disciplina del Fondo Sviluppo e Coesione 2021-2027 con l’obiettivo di rendere più efficace il coordinamento tra i fondi nazionali ed europei per la coesione territoriale e le risorse del PNRR.
La riforma proposta stabilisce che le risorse del FSC vengano programmate attraverso Accordi per la coesione con amministrazioni centrali e regioni e province autonome, che vanno a sostituire i Piani per lo sviluppo e la coesione, previsti nella disciplina previgente.
Il decreto, inoltre, introduce la possibilità che gli interventi previsti dagli Accordi per la coesione siano finanziati con le risorse destinate ad interventi complementari dei Programmi 2014-2020 che risultino ancora non impegnate, con i fondi strutturali afferenti ai Programmi europei di competenza di ciascuna Amministrazione centrale o di ciascuna regione e con le risorse derivanti dai rimborsi europei e dal corrispondente cofinanziamento nazionale.
E’ evidente che con tali disposizioni il decisore pubblico abbia voluto rendere più flessibile l’impiego dei fondi per il riequilibrio territoriale con l’obiettivo di facilitare l’eventuale rifinanziamento delle opere per le quali il Governo ha chiesto una rimodulazione in sede di proposta di revisione del PNRR.
Tale revisione, presentata alla Commissione Europea, prevede di eliminare dal PNRR circa 15,9 miliardi di investimenti, di cui oltre l’80% (13 miliardi) relativi a interventi di competenza dei comuni, diffusi sul territorio e, in molti casi, in corso di realizzazione:
Il Governo ha rassicurato in merito alla volontà di realizzare gli interventi eliminati, finanziandoli con risorse alternative a valere sui fondi strutturali europei, sul Fondo Sviluppo e Coesione e sul Fondo Complementare.
Tali rassicurazioni e le misure contenute nel decreto non appaiono, però, ancora sufficienti a scongiurare il rischio di un definanziamento e di un blocco delle procedure da parte degli enti locali. Al momento, infatti, non sono accompagnate da indicazioni puntuali sulle risorse effettivamente disponibili e sulle modalità di utilizzo per la copertura degli interventi definanziati, anche in considerazione della diversa natura dei fondi e, di conseguenze, delle diverse modalità di funzionamento degli stessi.
Dagli ultimi dati di monitoraggio del sistema ReGis, circa 42.000 progetti di interesse per le costruzioni, che erano già stati selezionati, per un investimento complessivo di circa 12 miliardi di euro rischiano di essere definanziati. Circa la metà – il 47%, pari a 5,5 miliardi di euro – dei progetti che rischiano di essere definanziati nell’ambito della riprogrammazione PNRR riguarda il Mezzogiorno mentre il 34% è ubicato nel Nord (4 miliardi di euro) e il 19% nel Centro (2,2 miliardi).
Tali percentuali sono sostanzialmente in linea con la ripartizione dei fondi in sede di programmazione ma sono invece difficilmente compatibili, ad esempio, con i vincoli territoriali previsti per l’utilizzo del Fondo Sviluppo e Coesione (80% Mezzogiorno e 20% Centro-Nord).
Occorre garantire, fin da subito, la continuità non solo dei cantieri in corso, ma anche di tutte quelle iniziative che gli enti hanno avviato e rispetto alle quali hanno assunto specifici impegni di spesa, specificando in modo chiaro le coperture e le tempistiche del loro reperimento.
Peraltro, sia i Fondi Strutturali Europei, sia il fondo Sviluppo e Coesione non sono notoriamente esempi di efficienza nella spesa in Italia. I dati della Ragioneria Generale dello Stato, aggiornati al 30 aprile 2023, segnano un avanzamento della spesa per i Fondi Strutturali pari a circa 61%. Ciò equivale a dire che entro la fine dell’anno occorre realizzare una spesa pari a 25,8 miliardi per scongiurare la perdita delle relative risorse.
Risultati ancora più preoccupanti riguardano il Fondo Sviluppo e coesione 2014-2020 che, dopo quasi 10 anni dallo stanziamento dei fondi, ha raggiunto un avanzamento della spesa pari a circa il 26%.
Il timore che la revisione del PNRR possa determinare un ridimensionamento degli investimenti in opere pubbliche, rispetto ai livelli preventivati già a partire dall’anno in corso, emerge anche dalla recente Nota di Aggiornamento al DEF 2023 che prevede una rimodulazione del profilo temporale della spesa finanziata dal PNRR con una revisione al ribasso nel 2023 e nel 2024 e un conseguente maggiore concentrazione della stessa negli anni 2025-2026. I valori sulle singole annualità saranno disponibili con il prossimo DEF 2024 quando sarà concluse le interlocuzioni con le istituzioni europee sulla revisione del PNRR.
La Presidente ha, quindi, evidenziato che ad avviso di Ance, più che lo stralcio di intere linee di investimento già avviate e in molti casi in corso di realizzazione, sarebbe più giusto intervenire sui singoli interventi critici dal punto di vista della rispondenza alle linee di indirizzo della Commissione Europea (primo fra tutti il rispetto del principio del DNSH).
L’approccio condivisibile è quello adottato per gli interventi ferroviari: il Governo ha scelto di riprogrammare circa 2 miliardi di euro destinati ad interventi particolarmente complessi non coerenti con le tempistiche imposte dal PNRR, destinando tali risorse ad ulteriori investimenti ferroviari realizzabili entro il 2026.
Tornando al Decreto “Mezzogiorno”, l’Ance valuta positivamente le disposizioni volte a disciplinare il trasferimento dei fondi agli enti titolari nella misura in cui riuscirà a garantire alle pubbliche amministrazioni un flusso finanziario adeguato a sostenere la realizzazione degli investimenti e garantire pagamenti tempestivi alle imprese.
Allo stesso modo appaiono condivisibili le norme finalizzate a rafforzare gli strumenti di monitoraggio delle risorse nazionali ed europee in materia di politiche di coesione. In particolare, appare corretta la scelta di utilizzare ReGis, la piattaforma informatica per il monitoraggio, la rendicontazione e il controllo dei progetti finanziati dal PNRR, anche per le risorse nazionali ed europee per la coesione. Nel concordare sull’obiettivo di ricondurre ad un unico sistema il monitoraggio, si evidenzia, tuttavia, il persistere di difficoltà legate all’eccessiva complessità delle procedure previste delle operazioni di rendicontazione, soprattutto da parte degli enti più piccoli e meno strutturati e nonostante alcune importanti misure di semplificazioni già introdotte. Le conseguenze di tali difficoltà si ripercuotono soprattutto sulle imprese, che vedono bloccati i pagamenti a fronte di lavori regolarmente eseguiti per problematiche legate all’implementazione di Regis, che occorre risolvere tempestivamente per garantire la prosecuzione dei lavori e il rispetto dei tempi del PNRR.
Per quanto di interesse del settore delle opere pubbliche, il provvedimento all’articolo 17, comma 2, prevede la facoltà per SACE Spa, relativamente alle garanzie su cauzioni, rilasciate fino al 31 dicembre 2023, di avvalersi di riassicuratori e controgaranti del mercato privato.
Tale misura consente di ottimizzare la gestione del rischio e, conseguentemente, incrementare la capacità di erogare garanzie alle imprese, sia fini dell’esecuzione di appalti pubblici sia per l’anticipazione del prezzo contrattuale.
Si tratta di una norma molto positiva che l’Ance aveva invocato più volte negli ultimi mesi e che permetterà di fronteggiare meglio il crescente fabbisogno di garanzie nel settore degli appalti pubblici, che rischia, viceversa, di compromettere la “messa a terra” delle opere del PNRR.
Anche per questo motivo, appare quantomai opportuno prorogarne l’efficacia fino alla fine del PNRR (2026), al fine di ampliare utilmente il lasso di tempo entro il quale poterne beneficiare, fronteggiando il crescente fabbisogno di garanzie, e tenendo conto della prosecuzione, negli anni a venire, dei lavori di attuazione del Piano.
Per quanto riguarda l’istituzione della “ZES unica”, si valuta positivamente, in generale, l’obiettivo di superare la frammentazione territoriale delle attuali 8 ZES, per consentire invece una politica di sviluppo e coesione maggiormente diffusa e coordinata.
Tuttavia, la massima efficacia dello strumento si ritiene subordinata a 2 fattori determinanti.
La prima è legata alla governance affidata alla Cabina di regia interministeriale che, se da un lato favorisce il coordinamento e razionalizzazione degli interventi, dall’altro deve garantire anche un’effettiva semplificazione delle procedure e la celerità nella concessione delle autorizzazioni.
Secondo elemento da tenere in debita considerazione è connesso alla scelta dei progetti di investimento da finanziare. È infatti fondamentale che la selezione avvenga in funzione dell’individuazione dei settori da promuovere e dall’effettivo potenziale di sviluppo delle attività nel rispetto della vocazione economica dei territori.
In particolare, la previsione di un unico interlocutore (Sportello Unico Digitale per il SUD) e un’unica procedura di autorizzazione per avviare i progetti di investimento produttivo è positiva in quanto ha come obiettivo quello di avviare una politica strategica unitaria per il Sud.
Le disposizioni, tuttavia, potrebbero rischiare di non produrre gli effetti auspicati se non supportate sia da un regime transitorio adeguato, sia dalla capacità amministrativa della Struttura di missione a cui è affidato il compito di attuare le misure di semplificazione previste dal Decreto. In questo senso, si ritiene opportuno valutare la possibilità di mantenere le strutture regionali che sovraintendono alle ZES dove hanno funzionato finora.
Sotto il profilo più strettamente fiscale, suscita perplessità la scelta del Governo di incentivare l’investimento produttivo nel Mezzogiorno, nell’ambito della “ZES unica”, con misure che sono già state adottate nel passato e nella sostanza non presentano quegli elementi di novità ed efficacia, tali da garantire un effettivo impulso all’attività delle zone assistite del Sud Italia.
A ciò si aggiunga il ristretto ambito temporale del beneficio, garantito per il 2024, e il riconoscimento dello stesso entro un limite massimo di stanziamenti complessivi, a valere sulle risorse europee e nazionali della politica di coesione, che verrà determinato successivamente con apposito decreto. Da quest’ultimo punto di vista, è necessario evitare procedure di selezione basate su criteri cronologici, che risulterebbero del tutto in contrasto con l’esigenza di garantire una selezione dei progetti basata sulle potenzialità di sviluppo che questi possono produrre sui singoli territori.
Per quanto riguarda poi più da vicino il settore delle costruzioni, è necessario evitare il ripetersi delle problematiche legate all’incerta individuazione, tra i soggetti esclusi dall’agevolazione, delle imprese del settore edile cosiddette imprese “stradali” (cod. ATECO 42.11.00) che, nel passato, nell’ambito cd. “Bonus Sud” (art.1, co.98-108, legge 208/2015), alcuni uffici regionali dell’AdE hanno considerato come esercenti attività di “trasporto e relative infrastrutture”, e come tali escluse dal credito d’imposta.
Occorre quindi chiarire espressamente l’applicabilità della misura anche alle imprese che operano nel settore della costruzione di strade, autostrade e piste aeroportuali.
Per il dettaglio delle valutazioni e proposte Ance sulle singole norme del decreto-legge, si veda il documento allegato consegnato agli atti della Commissione per la pubblicazione sul sito web.